Obihall

Patrizia Gazzotti

Tappa pianificata all’autogrill Cantagallo Ovest, A1, poco prima dell’uscita di Sasso Marconi. Meta finale del pulmino: Firenze, teatro Obihall. Le ragazze sono eccitate e divertite. Chignon fatto fin dall’alba per arrivare pronte alla finale del concorso di danza. Qualcuna si è data anche una spolverata di trucco, ma per le finiture e i dettagli meglio aspettare gli istanti prima di salire sul palco. Sanno che la giornata sarà lunga e si sono attrezzate con il necessario per la sopravvivenza: telefonini, acqua e cioccolata. La giostra dei selfie è partita all’impazzata: primi piani sorridenti, falsamente imbronciati, con la lingua fuori, colori vintage, bianco e nero, inquadrature tagliate di sghembo. Si fermano all’autogrill per sgranchirsi le gambe sottili, qualcuna va in bagno rigorosamente in compagnia dell’amica, qualche altra entra al punto ristoro. Le insegnanti, Giulia e Federica, approfittano per fare qualche telefonata e prendersi un caffè. La giornata sarà lunga anche per loro. Non hanno più quattordici anni e quell’entusiasmo lo hanno perso da tempo. Adesso si chiama senso del dovere, stipendio, mutuo da pagare.
Ivan è sceso dal pulmino per ultimo, dopo aver partecipato con le ragazze ad alcune foto da inviare con WhatsApp. Controlla la borsa con le mezzepunte e l’abito di scena prima di dirigersi verso il bagno. Dal parcheggio si sente strombazzare. È arrivato un altro pullman, molto più rumoroso. Si sentono cori da stadio e un crescente vociferare maschile. Da dentro la toilette Ivan non ha dubbi: tifoseria calcistica. È domenica, ci sta. Le trasferte fanno parte del gioco, con tutto il loro corredo folkloristico. Niente è più lontano da lui e dalla sua vita. Se pensa a quei tentativi di giocare a calcio insieme agli altri bambini nel cortile sotto casa, avverte ancora il disagio e l’angoscia nel sentirsi in dovere di fare qualcosa per forza, contro natura. Oltre la porta sente i passi pesanti e le voci dei nuovi arrivati, quasi rotolati giù dalle scale per il pit stop fisiologico. Quando Ivan apre la porta se li trova davanti che lo guardano con aria stupita e divertita. Sono in due: hanno una sciarpa con i colori della squadra, maglie smanicate da cui sbucano bicipiti e tatuaggi minacciosi con filo spinato e simboli celtici. Lui ha paura, ma finge indifferenza. Sa cosa rischia in certe situazioni. Meglio tirare dritto e sparire alla svelta. Ma lo fermano: dove vai bella bimba? È panico.
Le ragazze stanno tornando alla spicciolata verso il pulmino. Le insegnanti danno un’occhiata per individuare chi si attarda. “Forza, salite!”, esclama Giulia. “Ci siamo tutti?”, chiede Federica. Nessuno ha visto Ivan. Dov’è finito quel benedetto ragazzo? Le insegnanti chiedono alle altre ragazze, ma le sue tracce si sono perse nel bagno dei maschi. È passato sicuramente troppo tempo. “Vado io”, decide Giulia e si dirige verso l’edificio dell’autogrill. C’è un gran viavai di persone, chi beve caffè, chi mangia panini, chi dà un’occhiata a libri e caramelle. Non è ancora estate, ma quello è un luogo in cui Giulia ogni volta percepisce quella sensazione di sospensione dalla quotidianità tipica delle vacanze. Cerca con lo sguardo l’insegna della toilette e fa di tutto per non pensare negativo. Cosa potrai mai essere successo a Ivan? Al massimo si sarà bloccata la porta del bagno. Scende le scale e si ferma sulla soglia. “Ivan, sei ancora lì?”, chiama. Nessuna risposta. “Ivan?!”, insiste. Comincia ad essere agitata. Ma cosa l’è venuto in mente di prendersi anche questa volta la responsabilità di accompagnare il gruppo al concorso? Per i due soldi che le dà la scuola di danza! Se la prende con se stessa mentre infila la testa nella zona riservata agli uomini, continuando a chiamare il ragazzo. Chiede ai presenti, ma nessuno sembra averlo notato. Corre al piano di sopra sperando sia già sul pullman. Segue le indicazioni verso l’uscita attraverso il percorso obbligato, tra salami appesi, confezioni di tortellini, peluche e pacchi di popcorn, fino a quando lo vede. È con due energumeni tatuati in un angolo nascosto di fianco all’uscita. Uno dei due lo avvolge con le sue enormi braccia. Ci manca questa! Almeno è ancora intero, sospira Giulia. Si avvicina pronta ad intervenire, ma si accorge che stanno ridendo. Anzi, Ivan pare addirittura felice. “Ivan… Ti sto cercando da un po’”. “Scusami Giulia, hai ragione”, risponde il ragazzo, “ma ho incontrato Marco, un mio amico d’infanzia. Abitavamo nello stesso condominio e mi toccava pure giocare a calcio con lui. Poi ho capito che non era il mio sport”. Marco è quello con l’aspetto più inquietante, ma ha uno sguardo allegro: “Il mio amico ha fatto qualche battutina su Ivan e ho dovuto salvarlo come ai vecchi tempi!”. Scoppiano a ridere. C’è ancora il tempo per una foto di gruppo con ballerine e tifoseria nella piazzola del parcheggio, prima di risalire sui pullman pronti a riprendere il viaggio, chi verso l’Obihall, chi verso lo stadio. Perfetta per Facebook.