testata bambino che fotografa
Gian Claudio Rosati

Grigio Asfalto

Autostrada A6 Torino Savona

Linea bianca spezzettata, alternata al grigio interminabile e il rumore di ferraglia che urla.

Cara autostrada A6, seduto sul sedile del passeggero accanto a papà, ci sono io. Andrea Coreni 9 anni nato a Torino nel 1984.


Anno scolastico archiviato, con la maglietta finalmente fuori dai pantaloni e il grembiule nello zaino. La maestra mi concede un mezzo sorriso di fine anno con predica annessa. “Andrea sei un farfallino, non basta fare i compiti, bisogna imparare a concentrarsi fai sempre troppi errori di distrazione”.


Maledetta distrazione tu che sei carica di fascino e leggerezza, quando ti cerco non ti trovo. Sei indomabile, proprio come l’apprensione che adesso sto provando mentre sento tutti i metri di asfalto che la macchina di papà si sta lasciando alle spalle. Non mi piace stare in macchina e nemmeno spostarmi solitamente esulto solo all’idea del viaggio, detesto partire e ancora di più ritornare. Quando a scuola abbiamo studiato i popoli nomadi e quelli sedentari ho capito che appartengo senza dubbi ai secondi. Come le tribù anche la mia ha i suoi riti e quelli che precedono la partenza non cambiano mai, le valigie si chiudono solo ed esclusivamente dopo la cena della sera prima della traversata. Rimangono disponibili pochi vestiti, l’armadio è sigillato. La cena non regala grandi soddisfazioni dopodiché il frigo verrà spento, anche lui farà un po’ di vacanza. Papà discute con il nonno la tonalità dei colori che avranno le pareti al nostro ritorno, la mamma urla al telefono i dettagli del viaggio pit stop compresi alla nonna. Ci siamo quasi, nonostante l’euforia che precede le vacanze io sono triste, mi affaccio sul balcone e vedo i miei amici che giocano in cortile.

“Ciao raga domani vado in vacanza”.

“Chissenefrega”.

Le bici sgommano e rimane un grosso polverone nel cortile, cala il silenzio e sale lo sconforto. Mamma e papà mi ripetono che sono fortunato non devo essere triste, ma la mia cameretta mi sembra già diversa e lontana. Mentre mi addormento mi chiedo se ho dimenticato qualcosa e dove sarò domani a quest’ora.

 

Ora che ripenso al mio letto e alla sensazione della pelle che sfrega contro le lenzuola pulite mi si contorce ancora di più lo stomaco. Soffro la macchina e i miei genitori se le inventano tutte per non farmi vomitare. La trovata di quest’anno è il cuscino da ometto. Nonostante il suo aiuto per vedere meglio la strada, ho la cintura che mi graffia il collo e guardando questa marea grigia sento che non tarderà ad arrivare. Sposto la cintura sotto il braccio e inizio a vedere il lato positivo del mio nuovo assetto da viaggio. In fin dei conti il cuscino una cosa buona ce l’ha, dato che finalmente dal finestrino riesco quasi ad andare a caccia della mia faccia riflessa nello specchietto laterale. Vedo il mio ciuffo che spunta, un pezzo di fronte e se spingo un po’ anche gli occhi. “ Andrea cosa fai con le gambe” mi chiede la mamma preoccupata nel dormiveglia, mentre papà mi rimette la cintura sul collo. “Nulla Mamma guardo la strada”. Ho voglia di vedere il mare, non l’uscita di Niella Tanaro. Che poi cosa sarà mai questo nome, mi chiedo se sia il tributo ad un personaggio mitologico che viveva nella zona e ha salvato il suo clan dando la caccia ai cattivi lungo il fiume.

 

Un misto di noia e nausea inizia ad pervadermi, devo trovare qualcosa con cui distrarmi. Ci provo con i miraggi, mi piace tantissimo guardarli scomparire, mentre fisso la strada vuota e rovente. Un giorno mi piacerebbe ancora di più capirne il principio fisico. Così me lo appunto nelle cose da fare durante l’anno quando fuori fa freddo e non ho nessuna idea se non accendere il Nintendo.

 

Mentre papà prosegue sull’autostrada del mare sento che sta tornando la nausea e non posso fermarla. “Papà devo vomitare”. “Andrea calmati e respira mancano pochi km all’area di sosta”. Chiudo gli occhi e cerco di immaginarmi il mare. Sono seduto vicino al bagno asciuga con la mamma che legge il suo libro e io che gioco con la sabbia, sento la schiena ustionarsi e una grandissima nausea mi pervade. Immaginazione finita, miraggi scomparsi e Niella Tanaro che mi insegue a cavallo con una lancia in mano. Sto mollando non ce la faccio più. Con gli occhi chiusi e le mani che strizzano il signor ometto, riconosco la voce di papà. “Dai Andrea siamo arrivati corri in bagno”. Scendo come una saetta dalla macchina, un respiro veloce, ma sufficiente a farmi capire che l’aria è già diversa. “Andrea vai piano, aspettami” mi dice la mamma scendendo dalla macchina. Troppo tardi sono già dentro e finalmente si intravede il bagno. Mentre corro con la testa bassa vado sbattere contro le gambe di un signore distratto e anche un po’ maleducato, nemmeno mi chiede scusa.

 

Quando entro in autogrill mi avvicino al bancone con diffidenza. Decido sempre all’ultimo cosa prendere, anche se nella maggior parte dei casi è il caffè scaccia nausea a vincere. Che forte quel ragazzino sembravo io da piccolo.