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Alessandra Rossetti

La Mummia Di Venzone

La Mia Storia Nasce Da Un Viaggio Che Ho Fatto Quest'estate A Venzone E Dalla Forte Impressione Che Mi Hanno Provocato Le Omonime Mummie. Come Il Protagonista Del Mio Racconto, Ignoravo La Loro Esistenza.

Ettore Salvaterra, archeologo di chiara fama, aveva dedicato la vita alla ricerca e allo studio di reperti della civiltà egizia. Del resto, non avrebbe potuto fare diversamente, poiché fin da bambino era stato attratto dalle sofisticate tecniche di imbalsamazione praticate da quell’antico popolo misterioso. Ettore sapeva bene che talvolta il processo di mummificazione poteva avvenire in modo naturale, ma solo di recente era venuto a conoscenza dell’esistenza di una piccola cittadina in Friuli, dove circa duecento anni prima erano state riesumate diverse salme mummificate.
Curioso di vedere dal vivo quelle che, secondo lui, erano state impropriamente definite mummie, una mattina di fine estate partì dal suo paese, Volta Mantovana, e imboccò l’A4 in direzione di Trieste.
Il traffico era insolitamente scorrevole ed Ettore raggiunse la diramazione per l’A23 in poco più di due ore.
Essendo ormai prossimo all’arrivo, decise che si sarebbe fermato all’ultima stazione prima dell’uscita per Venzone. Raggiunta l’area di servizio Ledra Est, parcheggiò, scese dall’auto e si avviò verso l’entrata dell’autogrill.
L’intenso odore di brioche appena sfornate e di caffè aromatizzato gli stuzzicò l’appetito.
Dopo essersi recato alla cassa, si sedette al bancone e ordinò un croissant e un cappuccino.
Improvvisamente, un uomo anziano si sedette di fianco a lui e gli fece un gran sorriso.
«Come va?» gli chiese.
Ettore si meravigliò di quell’atteggiamento amichevole e per un attimo pensò che potesse essere un collega incontrato ad uno dei tanti convegni a cui aveva partecipato nel corso della sua lunga attività lavorativa. Ma non riuscì ad effettuare alcuna associazione di volti, perciò si limitò ad inarcare le sopracciglia.
«Ci conosciamo?»
«No» rispose l’uomo, imbarazzato. «Perdoni la mia maleducazione». Gli tese la mano. «Daniello Gattolini».
“Che strano nome” pensò l’archeologo, mentre gliela stringeva.
«Ettore Salvaterra» gli disse, presentandosi.
«Lo sapevo» mormorò Daniello, un po’ annoiato.
Ettore lo guardò perplesso.
«Come fa a conoscere il mio nome?»
«Lei è un archeologo molto noto. Ha recuperato un’ingente quantità di reperti».
«Sì» confermò Ettore, con aria soddisfatta, sorseggiando il suo cappuccino.
«Come ha potuto farlo?» insisté lo sconosciuto, con un tono di voce sprezzante di cui Ettore non si accorse. Anzi, all’archeologo non parve vero di poter cominciare a vantarsi delle sue imprese con qualcuno, ma Daniello lo interruppe con un brusco cenno della mano.
«Cosa direbbe lei, signor Salvaterra, se qualcuno trafugasse la sua tomba o peggio ancora il suo cadavere ancora perfettamente intatto e ne facesse un grazioso oggettino da museo?»
«Beh, immagino che quando ciò avverrà il mio corpo si sarà disintegrato completamente» rispose Ettore, ridendo «e dunque i trafugatori di salme non troveranno niente».
«E se invece diventasse una mummia?» gli chiese l’uomo, serio.
“Bizzarra coincidenza” pensò Ettore. Il senso del suo viaggio e di conseguenza dell’incontro con quell’individuo era proprio legato ad una visita alle mummie di Venzone.
«Lei conosce le mummie di Venzone, signor Gattolini?» gli domandò Ettore.
Lo sconosciuto emise uno strano verso e annuì.
«Ahimè, troppo bene!» rispose. «Avrebbero dovuto lasciarle sotto terra, nel luogo in cui quei poveri corpi riposavano da secoli, anziché metterle in bella mostra e farne un’attrazione turistica a pagamento».
«Quindi lei è contrario agli scavi e ai ritrovamenti dei reperti antichi?» gli chiese Ettore. «Preferirebbe forse che quegli oggetti di inestimabile valore marcissero sotto terra?»
Daniello non rispose.
«Io mi sto recando proprio là» riprese Ettore. «A Venzone».
«Le consiglio di non andare in quel luogo, signor Salvaterra. Potrebbe rimanere scioccato».
Ettore, che fino a quel momento era rimasto a fissare la sua tazza vuota, si girò di lato, pronto a controbattere, ma l’uomo era sparito.
Lievemente turbato da quell’incontro, uscì dall’autogrill, salì in auto e ripartì.
Lasciata l’autostrada, raggiunse in poco tempo quella che gli parve una cittadina medievale molto tranquilla, quasi scolpita nelle montagne che la circondavano. Mentre s’incamminava nel suo centro storico, ripensò alle inutili parole di avvertimento del signor Gattolini. Che immane sciocchezza!
Entrò nella cripta di San Michele e si fermò davanti alle teche. Cinque mummie riposavano al loro interno.
Si avvicinò ad una di esse, improvvisamente attratto da un volto che nella semioscurità gli era parso familiare. Lesse il cartello.
Fu subito assalito dal panico e dovette rileggerlo più volte per capire che non stava sognando.
Si voltò verso la via d’uscita, ma agghiacciato da quanto aveva appreso non riuscì a muovere neanche un passo.
Si accasciò al muro, cercando di soffocare un urlo, mentre la scritta scintillava nella semioscurità più nitida che mai, quasi avesse voluto arderlo vivo: nob. Daniello Gattolini di anni 75 – salma esumata nel 1811.